Biografia

   Selvini Angelo nasce il 29 Gennaio 1913 da Giulio e Teresa Degiuli a Meina (NO). Registrato all’anagrafe come Angelo, sceglie poi come nome d’arte Corrado. Trascorre tutta la vita a Meina e muore ad Angera  l'8 settembre 1983 durante un ricovero ospedaliero.       

    Compie gli studi artistici presso il Liceo Artistico e Accademia di Belle Arti di Brera a Milano dove si diploma e frequenta il corso di pittura. Si iscrive poi alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano dopo aver seguito il corso preparatorio.

        A 22 anni perde il padre in seguito ad una lunga malattia;  un duro colpo, sia per  la forte relazione che li legava, sia perche rappresentava un  grande punto di riferimento per lui.  Il padre infatti era decoratore: aveva una ditta con operai a Milano ed operava sia in Italia che all’estero e molte ville sul lago Maggiore sono tuttora arricchite dai suoi lavori. Facile quindi dedurre quanta influenza abbia avuto tutto questo  nella scelta dei suoi studi; eredità straordinaria dal punto di vista artistico sì, ma anche per avere le possibilità economiche di proseguire gli studi, e  comprare la casa, che sarà per tutta la sua vita  rifugio di straordinaria importanza. 

      All’Accademia beneficia della guida del professor Aldo Carpi, che lo incentiva a lavorare per una ricerca personale artistica. 

      Al corso di Architettura incontra Giorgio Labò, da cui trae con grande entusiasmo, per un puro interesse pittorico, la conoscenza dell’architettura organica, tema che lo accompagnerà sempre nel corso della sua vita artistica.

      E’ questo un momento sereno della sua vita: trascorre il tempo con gli amici, compagni di corso, al mare e sopratutto nella sua casa a Meina, divertendosi, disegnando e discutendo di arte. Amici che diverranno poi gli artefici di un movimento artistico di grande rilievo, che si fa strada ed esplode in modo straordi- nario, nonostante il difficile momento storico. Siamo infatti negli anni dell’ante- guerra; tensioni e turbamenti che si vivono nell’aria in quel momento compromettono l’equilibrio già precario di Selvini. Mentre i suoi compa- gni di corso, combattivi e intraprendenti reagiscono agli eventi buttandosi……. Selvini preferisce non seguirli e si allontana da loro.

      Verso la fine degli studi e per un breve periodo di tempo espone le sue opere in mostre personali e collettive, tra Milano, Novara e alcune cittadine Liguri , in cui beneficia momenti di vita sociale, e nel contempo dove prova a coronare il desiderio di irrompere nel mondo dell’Arte. E mentre vive questa esperienza e accresce in lui la ricerca di uno stile e di una forza espressiva, anche la forte tendenza alla chiusura si fa strada e lo rende sempre più distaccato dal resto del mondo. Si esclude, chissà per quanti e quali motivi personali a noi sconosciuti, ma continua a lavorare senza tregua anche durante la guerra, quando si rifugia in Svizzera.

      Dopo la guerra, Selvini riesce a mantenersi economicamente per alcuni anni, fino all’apertura del colorificio, gestendo la ditta del padre con alcuni operai che gli sono rimasti fedeli, ma nel contempo continua a dipingere e disegnare nella sua casa. La sua abitazione diviene il luogo in cui espletare tutta la ricchezza esplosiva che preme dentro di lui, che ha bisogno di fluire ed emergere, ma sempre  attraverso una solitudine profonda nata dalla necessità distorta di operare senza confronti né relazioni, se non con sé stesso. Questo “isolamento”, è rotto ogni tanto da qualche richiamo, dal tentativo di alcuni suoi ex compagni di corso a smuoverlo e farlo partecipare a qualche evento..... purtroppo senza successo. Selvini si costruisce un “mondo su misura” dove la fantasia regna producendo innumerevoli progetti e dove accresce una identità autonoma che si esprime liberamente senza freni né inibizioni. 

      Trascorso qualche anno, per vivere, trova il modo più adatto a lui per far convivere il lavoro con la sua irresistibile necessità di produrre arte, attraverso l’apertura di un negozio, il ”Colorificio Aronese”, unico nella zona, che richiamava l’attenzione di artisti e clienti di ogni genere, consentendo- gli così di riprendere i contatti con la vita reale. La sua vita quindi si svolge e scorre fra la casa di Meina ed il colorificio; la casa è rifugio, studio, laboratorio, galleria…. fino a divenire “Museo”, nel suo desiderio e nella sua fantasia…..; ed il colorificio di Arona  che  si trasformava,  all’occorrenza, in studio privato.

     L’artista non perde mai di vista ciò che accade nel mondo dell’arte, leggendo, documentandosi e proseguendo lo studio della storia dell’arte, fonte  esclusiva per la sua ricerca artistica. Lavora e lavora, producendo dipinti spesso anche all’esterno, nelle valli del Sesia, della Strona, nel ridente paesino di Solcio, chiamato da lui “il Santuario dei cachi” per lo straordinario riverbero del sole che sui cachi scintillava donando un aspetto magico e spirituale….   Tutto questo naturalmente senza mai tralasciare il disegno, sua passione estrema e irrefrenabile che diventa sempre più prioritaria, fino a divenire unica espressione di arte per lui.

      Nel 1952 sposa la sua adorata Giovanna, all’ana- grafe Giannina Monti, che con la sua sensibilità e dolcezza inizia una vera e propria avventura di vita con il suo Corrado. Lavorano insieme, si sostengono a vicenda e, oltre alle vernici e ai colori, iniziano a fare le cornici, apportando così un miglioramento al negozio, arricchendone l’attività. Nel 1956 nasce la loro unica figlia, Teresa, e si corona così un ideale di “perfezione”, un’idea di famiglia come luogo in cui  realizzare  desideri e progetti.  E’ sempre lui al centro e in primo piano il suo lavoro, si potrebbe dire che la famiglia, mamma, moglie e figlia, costituiscono una cornice attorno a lui, al suo personaggio. Spesso regna un silenzio quasi “religioso”, intorno a questo personaggio cosi estremo, rapito da una moltitudine di pensieri, sempre teso verso un progetto, un fantasioso desiderio per lopiù impossibile da realizzare.

       Anche in questo periodo qualcuno riemerge dal passato e cerca di contattarlo, ma lui ancora si nega a chiunque perfino ad un giornalista-critico d'arte famoso come Dino Buzzati, che non conoscendolo di persona si rivolge a lui in giardino chiedendo del pittore Selvini, e a cui viene risposto  “il maestro non è in casa, io sono il giardiniere”……… Il perché di tutta questa ritrosia rimane veramente un mistero e si contrappone nettamente alla sua  morbosa  idea di essere  “ grande artista incompreso” costruendo nel castello della sua fantasia in tutti questi anni una protezione attorno alla sua arte fino a renderla “intoccabile”, per paura di essere “contaminata”….. o “copiata”……..

        E così trascorrono gli anni…….il pennino scorre su carte  di ogni tipo, le chine colorano profili di figure, oggetti inconsueti e straordinari allo stesso tempo. Forme decorative ed estrosi “ghirigori” si alternano tra nudi, cavalli e amazzoni, incorniciandoli o intersecandosi fra loro. Personaggi fantastici… strabilianti… rincorrono una scia immaginaria   che dalla mente e dal cuore dell’artista sgorga a profusione e si materializza in una forza, che Lui chiamava “mordente”, senza eguali.

       Molti  avvenimenti si  sono susseguiti nella sua vita,  come in tutte le famiglie del mondo,  forse in modo un’pò più avventuroso….  molto ci sarebbe da raccontare: episodi stravaganti… ricordi curiosi di ogni tipo……e momenti difficili,  superati come sempre attraverso il disegno fantastico dono, per lui anche terapeutico, ricco di bellezza e purezza.

     Sono felice, a distanza, che mio padre tra i tanti fatti succeduti e vari tormenti, abbia  alla fine potuto ricostruire nella sua vita un buon rapporto con la gente proprio attraverso quel negozio disordinato e stravagante dove ha goduto del rapporto con le persone, spesso affezionandosi a loro (a parte quando si irritava per esempio se una persona masticava il chewingum… o non toglieva gli occhiali da sole entrando nel negozio…...).   Spesso faceva vedere  i suoi disegni ed era felice se qualcuno si appassionava alla loro vista,  ma spesso, anche se richiesto, negava questa possibilità per ritrosia,  si può dire anzi per una sorta di gelosia  che lo legava morbosamente alle sue creature.  Si divertiva  chiamando  i ragazzini di strada....... li faceva fischiare… “vediamo chi fischia più forte”…. e poi dava  piccoli premi a tutti …… oppure li invitava a portare il dentino da latte quando cadeva, perché conosceva un "mago" che con la bacchetta magica li faceva diventare d’oro….. e di nascosto li colorava per poi renderglieli, godendo del loro stupore e della loro  gioia…….E' così che amava vivere nei momenti di serenità.......semplicemente....... quasi come fosse un bambino anche Lui, riflettendo  la stessa innocenza nella sua arte.

       Ma ciò che conta di più ora, nella sua storia, è che grazie a questo “patto di fedeltà” con se stesso per la sua arte,  se pur a suo discapito per non essersi mai esposto,  ha lasciato  un  patrimonio di pura ricchezza espressiva,  tale  da non poter essere lasciato  nell’oscurità per sempre. Per usare una sua frase, è come se dovesse essere ancora “partorito al mondo."

      Mi rende felice l’idea che si possa realizzare davvero quello che è rimasto sempre un sogno per Lui (e da sempre anche per me )...... e ancor più oggi, insieme alla mia famiglia, poterlo  concretizzare davvero e trasformare  in realtà.

      E allora… si riparte!!!   La pressa con la scritta “MUSEO SELVINI” l’ha lasciata  Papà in eredità,  ed è pronta per essere usata...... nella speranza che possa imprimere un marchio, se pur con la dovuta modestia, anche nella storia dell'arte e nel cuore delle persone. 

                                                                                                                                                                Teresa Francesca Selvini

28/07/2016